Cavoletti di Bruxelles

 di Raffaella Vitulano

Tanto tuonò che piovve. Solo ora il ministro per gli Affari europei sostiene che il Fiscal Compact (obbligo di pareggio o avanzo di bilancio) va ammorbidito dando modo agli Stati di poter investire più soldi pubblici nella crescita, anche se questo può voler dire sforare il Patto di stabilità. Ci volevano le urne italiane a rivedere la linea d'asfissia nel prossimo Consiglio europeo di giovedì e venerdì. Che sia stata anche l'alzata di scudi tedeschi a modificare il trend europeo? Bruxelles trema, il vento del cambiamento soffia forte a tal punto che perfino il Paese più severo, quello che ha dettato ai maiali Piigs l'agenda dell'austerity, ha ribadito che certi provvedimenti incostituzionali possono e devono essere bloccati o modificati. La Germania - a onor del vero - lo ha fatto per la seconda volta, dopo avere in precedenza ridefinito e limitato l'infernale Meccanismo europeo di stabilità (Mes) mentre da noi ancora si ciancia su Imu e congiuntiviti. L'Italia l'ha sottoscritto nel silenzio belato del timore della certificazione junk (spazzatura) di Fitch, quella che si dà ai paesi senza speranza. Abbiamo firmato cambiali per 150 miliardi di riduzione del debito pubblico entro il 2015 mentre la macchina taglia debiti, in realtà i debiti li fa aumentare, dato che in caso contrario l'Italia dovrà effettuare presso la Bce un deposito che potrà poi essere trasformato in una sanzione variabile tra lo 0,2% e lo 0,5% del Pil.
Magari potevamo tenerci i criteri di Maastricht senza inasprirli. Fermarci a quel 3% di deficit/pil, una cifra che voci di corridoi europei fanno risalire a una semplice boutade cabalistica dell'allora presidente francese Mitterrand: "Il numero 3 suonava bene, ed era perfetto per togliermi di torno i ministri che mi assediavano con le loro continue richieste di soldi".
Davvero profonda, questa Europa nonchalance.

r.vitulano@cisl.it

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