Una sbornia mondiale

di Raffaella Vitulano

Sarà. Doveva scendere, scendere. E invece ieri il debito pubblico invece che essere ridotto continuava ad aumentare (e non ci salveremo da una manovra autunnale), mentre un italiano su 10 entrava ufficialmente in povertà.
Trafitti dai dardi dell’infatuazione calcistica, stregati dalle scarpette chiodate, sequestrati dai nuovi schermi comprati a rate, forse gli italiani non hanno compreso la portata di un recente documento del Fondo monetario internazionale. Durante la sbornia mondiale - dopo aver già informalmente suggerito una ”tassa sul debito” generalizzata per un importo del 10% per ogni famiglia della zona euro - l’istituto di Washington spingeva affinché i governi europei utilizzino i risparmi dei cittadini al servizio della riduzione dell’enorme debito nazionale. E questo varrebbe anche in caso di assicurazioni, immobili o fondi pensione. Per non parlare dell’estensione della maturazione delle cedole: ad esempio, un’obbligazione di due anni potrebbe divenire una obbligazione con scadenza tra 20 anni. Tutto è giustificato in nome del ripianamento di un debito che accurate strategie - probabilmente messe a punto dalle grandi oligarchie nelle officine delle cosiddette Ur-Lodges  sovranazionali e realizzate da governi consenzienti - sembrano non voler affatto frenare. Anzi. Il carico di debito dei governi su base globale è ormai così opprimente da bloccare i meccanismi stessi di democrazia. Niente può fermare la Germania, ma siamo sicuri che il problema sia solo Frau Merkel? Le tensioni tra Washington e Berlino rivelerebbero in realtà che il conflitto in atto si sta alzando tra espressioni di leadership inadeguate e non al passo con le trasformazioni in corso nel pianeta, i cui conflitti armati rappresentano solo l’estensione di conflitti geopolitici irrisolti e in pericolosa deflagrazione. Come ricordato in un acuto articolo dall’economista Giulio Sapelli, la Memorial lecture in honour of Tommaso Padoa Schioppa pronunciata da Mario Draghi a Londra qualche giorno fa è ”un documento destinato a rimanere nella storia”. Draghi auspica che il modo in cui si deve giungere al compimento delle riforme strutturali deve essere lo stesso che ha guidato l’elaborazione ”della fiscal governance ossia del Fiscal compact che noi italiani abbiamo addirittura inserito nella Costituzione”, universalizzando (livellandoli verso il basso, diciamolo) criteri di convergenza nel mercato del lavoro e così via. Tuttavia, cedere sovranità (tanto cara a Jean Bodin, citato da Draghi) ad una imprecisata, disarticolata ”sovranity together”, nella quale il concetto di democrazia, ammettiamolo, starà piuttosto stretto, sarebbe piuttosto rischioso. Una riflessione, infine, letta sulla Reuters: due fattori geopolitici dei prima anni del ventesimo secolo crearono le condizioni necessarie per l’improvvisa spirale che generò il conflitto: l’ascesa e la caduta della grandi potenze, e la fin troppo rigida osservanza dei trattati militari di mutua assistenza in caso di conflitto. Questi elementi stanno riemergendo per destabilizzare la situazione geopolitica (basta leggere l’attualità), esattamente un secolo dopo.

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