I fuori-classe della democrazia

di Raffaella Vitulano

Opere più o meno raffinate di ingegneria politico-sociale antidemocratica attentano all’evoluzione della nostra contemporaneità. Ogni giorno assistiamo a nuovi strappi, che pure sarebbero accettabili se solo fossero nel solco dell’equità e se puntellassero finalmente altri diritti, troppo a lungo dimenticati. Ma il fatto è che a tali strappi non pare corrispondere alcun miglioramento globale della società, in nessun punto del mondo, piuttosto incline ad una deriva neo-oligarchica e tecnocratica della governance euroatlantica e mondiale.
E’ così che negli ultimi anni si è via via alimentato un blocco alternativo a quello finora dominante della Nato e dell’Occidente, ormai affogato nella tempesta di una crisi finanziaria, economica e sociale. Un Occidente involuto anche grazie all’incapacità e alla cecità del suo ceto dirigente, che negli ultimi due decenni ha dissipato un patrimonio culturale ed economico, creando le premesse per un’altra guerra mondiale dall’esito incerto. Alcuni esperti dei think-tank stanno ipotizzando che l’Unione europea dovrà fronteggiare scioperi e proteste sociali con la forza militare. L’art. 222 del Trattato di Lisbona ne creerebbe le premesse: ma è davvero questa la via per contrastare l’aggravarsi delle disuguaglianze sociali?
Questioni di casta, questioni di classe. Eppure il numero dei fuori-classe aumenta a dismisura. Resta intanto l’opzione Bce: uno dei capitoli più dibattuti riguarda appunto il quantitative easing, l’acquisto di titoli pubblici e privati in grande quantità che la Banca centrale europea potrebbe decidere a breve. Ma sui suoi effetti, gli economisti sono ancora divisi. L’obiettivo, aumentando la domanda, consisterebbe nell’abbassare i rendimenti sui prestiti e sui titoli evitando la deflazione, stimolando l’economia e dirottando il denaro su investimenti, consumi, azioni. Berlino frena, convinta che un eccesso di liquidità produca solo bolle finanziarie. Ma c’è anche chi sostiene che una immissione di liquidità della Bce a basso tasso di interesse per le banche italiane non serva sostanzialmente a nulla dato che un euro in più di credito disponibile non aumenterà la domanda semplicemente perché in Italia la domanda è stata già annientata dall’austerity.
Inoltre, permarrebbe il rischio che vincolando nella moneta unica il sistema bancario nazionale che lo riceve si disinnescherebbe l’opzionalità di riconversione in nuova valuta in caso di possibile default. Tutto da valutare, dunque, mentre il premier nostrano Renzi continua a dribblare in politica estera. L’importante è che non si ispiri troppo a Tony Blair, l’ex uomo del New labour ormai lingotto delle consulenze d’oro a J.P. Morgan ma anche a Mongolia, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Colombia e Albania. Quando la polizia sparò sugli operai dell’area petrolifera di Zhanaozen- in Kazakhstan - che protestavano per le condizioni di lavoro, era il dicembre del 2011. Oggi in una lettera, di quelle 14 morti accertate Blair scrive appunto che queste ”non devono oscurare” i progressi nel campo dei diritti umani (!). Una singolare idea di democrazia.

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