L'amiko americano

di Raffaella Vitulano

Dalle stelle e strisce alle stelle gialle su campo blu. Passando per una sbirciatina a Marte. Galvanizzato dall’endorsement di Washington, il nostro premier affronta ora l’arena di Bruxelles, dove il duo franco tedesco lo guarderà con ancor più diffidenza. E già. Perché il “demolition man” (rottamatore) citato da Obama si è ormai definitivamente schierato - almeno a parole - contro un selciato europeo caratterizzato da austerità e asfissia. L’amico americano attribuisce all’Italia un ruolo strategicamente importante. Roma ricambia l’amicizia affettuosa. Ma forse, più che amicizia è una necessaria quanto reciproca strategia. Di conquista degli italiani all’estero, ad esempio. E di ri-conquista di un territorio europeo a tratti ostile alle politiche statunitensi. La Germania, prima di tutti, si è smarcata dal ruolo di cuscinetto con Washington cercando di assurgere a guida dei Ventisette dopo aver depredato i paesi del Sud. Strizzando l’occhio a Mosca, dribblando le sanzioni, ingozzandosi con l’export, scendendo in piazza contro il Ttip, ha sfidato la diplomazia ed é inciampata in una brutta guerra commerciale con gli Usa.  E c’era da aspettarselo: non a caso Washington ha deciso da inizio anno di criticare apertamente le misure oppressive messe in campo da Berlino in una tenzone che ha spaccato il Vecchio Continente, e che per forza centrifuga ha definitivamente spinto Roma fuori dal nucleo di comando Ue. Non riuscendo ad imporsi sullo scenario continentale, Roma si é riunita con Londra nell’orbita - mai abbandonata in realtà - degli Usa. Nella contropartita c’è da leggere l’invio dei nostri militari in Lettonia, in Libia e nelle altre zone d’interesse atlantico, come l’Iraq. L’azione diplomatica del governo per ottenere il sostegno degli Stati Uniti aveva preso tempo, concedendo l’uso della base di Sigonella per operazioni con i droni americani in Libia. Ma abbiamo dovuto concedere di più. E così, mentre l’opinione pubblica è distratta dal processo di riforme costituzionali - che incassano un sì convinto da Obama - Matteo Renzi si trova a dover gestire crisi assai più delicate e importanti per l’intero pianeta e per gli equilibri geopolitici ed economici. La vera guerra del Presidente del Consiglio, insomma, non è quella interna. Ma giocando, lui sì con abilità, la carta del populismo contro l’austerity e cavalcando l’euroscetticismo contro la Merkel, Renzi cerca di traghettare l’Italia fuori da quel luogo scomodo di mezzo che ieri era tra la Nato ed il patto di Varsavia, oggi tra la Nato e la Russia. Forte delle concessioni all’amico americano, oggi Renzi sfida Bruxelles in un confronto che si annuncia duro e polemico. In Europa del resto si moltiplicano i segnali di una crisi mal gestita: su Bloomberg, un grafico mostra una nuova accelerazione della fuga dei capitali dal nostro paese, segno di una crescente sfiducia nella tenuta del progetto dell’euro e anche di un timore diffuso per la crisi bancaria. Capitali che abbandonano l’Italia e vanno in Germania, tutelando gli interessi del più forte. Tanto per cambiare. E non é affatto un bel segnale per noi. Mentre lo é per la formica berlinese, che con i tassi della Bce vanta un pareggio di bilancio grazie a centinaia di miliardi di euro di servizio sul debito risparmiati negli ultimi anni, e che oggi sta facendo incetta di case alimentando una bolla immobiliare . Eppure proprio un tedesco, Otmar Issing, uno dei membri fondatori del comitato esecutivo della Banca centrale europea, ha concesso una straordinaria intervista nel corso della quale, parlando del futuro dell'euro, ha dichiarato che ”il castello di carte crollerà”. Issing sostiene  che l'euro è stato tradito dalla politica, lamentando che l'esperimento è andato male fin dall'inizio. Ma é davvero così o é semmai il contrario?  Peccato guardare sempre al nostro ombelico italiano o europeo. Là fuori c’è un mondo che meriterebbe di essere studiato ed affrontato con maggiore interesse. Si scoprirebbe, ad esempio, che la politica, in definitiva, non può più decidere nulla, perché il quadro istituzionale nel quale è inserita le impedisce di farlo. Che il blocco franco tedesco non è poi così omogeneo (cit: Martin Feldstein: ”L'aspirazione francese all'uguaglianza non è compatibile con le aspettative tedesche di egemonia"). E che avremmo dovuto capire qualcosa da tempo (cit. Krugman: ”L’Unione monetaria non è stata progettata per fare tutti contenti. È stata progettata per mantenere contenta la Germania , per offrire quella severa disciplina antinflazionistica che tutti sanno essere sempre stata desiderata dalla Germania, e che la Germania sempre vorrà in futuro”).

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